#LottoMarzo.

Niente feste, niente spogliarelli e niente cene tra donne con centrotavola di mimose. C’è un tempo per piangere, un tempo per indignarsi e, poi, arriva il tempo di scioperare. Quest’anno l’8 marzo è lo sciopero di tutte, è lo sciopero globale. In 40 Paesi del mondo, lavoratrici dipendenti, precarie, autonome, intermittenti, disoccupate, studentesse, pensionate e casalinghe incrociano le braccia nei luoghi, tradizionali e non, di lavoro. Anche in Italia, come annunciato all’indomani della Marea di #NonUnaDiMeno: in 250mila hanno sfilato per le strade di Roma. Si può scioperare in molti modi: astensione, sciopero bianco, vestendosi simbolicamente di nero e fucsia, astenendosi dai lavori di cura quotidiani e dai consumi (spesa, acquisti e uso di elettrodomestici). E si potrà aderire anche per via “social”, con un post in cui spiegare: #ScioperoPerché e #ScioperoCome. Sul prossimo numero di Left, in edicola il 4 marzo, abbiamo preparato un’accurata guida per trovare ognuna il suo modo e il suo perché.

Il racconto della violenza sulle donne come raptus è per sempre rigettato. Quello che si denuncia è un problema strutturale della società, italiana e globale. Perché «la situazione delle donne non è migliorata ma si è aggravata», scrive l’eurodeputata Marisa Matias che sottolinea le «battute d’arresto e la persecuzione delle donne in Polonia, o la legittimazione della violenza sulle donne in Russia, o l’escalation brutale della violenza contro le donne nel mondo, senza dimenticare quanto si sia fatta ancora più difficile la situazione delle donne rifugiate, il cui numero non cessa di crescere». E in Italia? In Italia le donne continuano a morire di fatica, ci ricorda Chiara Saraceno che dalle nostre pagine lancia un j’accuse alla politica: «Il lavoro remunerato manca, soprattutto per le donne e soprattutto se sono a bassa qualifica e se vivono nel Mezzogiorno. E il lavoro può anche uccidere “semplicemente” per troppa fatica», come nel caso di Paola Clemente, bracciante tarantina. E, ancora, la difficile riforma del cognome materno, un esempio di quanto «la lunga storia delle riforme dei diritti civili e dei diritti all’eguaglianza tra uomini e donne in Italia rappresenta una profonda contraddizione tra il livello più maturo della società civile e la lentezza della politica», dice la professoressa Angiolina Arru.

«Mercoledì LOTTO marzo noi lo facciamo. Cerchiamo un prato insieme e “rifiutiamo” questo mondo dove la violenza visibile e invisibile ci viene propinata come destino ineluttabile o caso isolato. O ancor peggio, colpa originaria. Così non è. è un sistema che si è fatto violento nutrito di una cultura violenta che va stoppato. E allora incrociate le braccia con noi, andate per il mondo e raccontate che tesoro possiamo essere», scrive il nostro direttore Ilaria Bonaccorsi. Buono sciopero a tutte. E tutti, perché «Per la cronaca, la definizione di femminismo è: “Il credere che uomini e donne debbano avere uguali diritti e opportunità. È la teoria della parità dei sessi in politica, economia e nella società”», spiega Giulio Cavalli che su questo numero, con un racconto inedito, racconta la storia “Il signor M. e il femminismo”: «Uomini, vorrei sfruttare questa opportunità per farvi un invito formale. La parità di genere è anche un vostro problema».

Tiziana Barillà 3 marzo 2017 dalla rivista in edicola

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